Uncertainty excites me
Uncertainty excites me è un invito a sostare, perché soltanto fermandosi di fronte alle vetrate di spazioSERRA sarà possibile cogliere il lento movimento delle chiocciole, uniche abitanti di un’isola ricostruita all’interno del padiglione vetrato che l’arte contemporanea occupa nel sottopassaggio della metro milanese. L’installazione presente è il primo lavoro comune delle artiste Camilla Gurgone e Giulia Di Franco che, spinte dal fascino della ricerca su questi animali divoratori, dopo una lunga osservazione e i primi esperimenti domestici sul comportamento delle lumache, le eleggono a protagoniste di un’isola fantastica realizzata ad hoc, ricreando l’umidità ideale e concependo per loro un sostentamento adeguato. Quello che normalmente potrebbe accadere dentro una teca, specialmente con certi tipi di rettili, oppure in un acquario, in questo caso diventa installazione artistica aprendosi allo sguardo del passante. Fondamento di questa operazione è un fatto, piccolo ma decisivo: le lumache, poste in condizioni favorevoli, mangiano e inesorabilmente distruggono tutto ciò che incontrano di commestibile. Qui il loro ricco pasto è costituito da tutti gli elementi di cui è disseminata l’isola, tra i quali d’impatto sono le sculture organiche realizzate da Gurgone e Di Franco dalle forme astratte e vagamente mostruose, ma anche iconiche (e ironiche): un pinocchio, un gattino, una casetta del Mulino Bianco e un bambolotto. Come in un rituale di assurda venerazione e cancellazione del presente, che subito diventa passato, gli abitanti dell’isola fagocitano quelli che potremmo interpretare come i loro totem. Il presente, infatti, ha a che fare con l’incertezza, come esplica il titolo, un’incertezza affascinante, che eccita.
La lumaca è il simbolo universale della lentezza e della determinazione, nonché animale evocativo della rigenerazione attraverso la metamorfosi; infatti non subisce invecchiamento cellulare perché grazie alle secrezioni prodotte si rigenera naturalmente riproducendo il proprio stesso tessuto. Il suo guscio a spirale poi, come accade per molte altre manifestazioni in natura, rivela un collegamento diretto con le fasi lunari e quindi con l’idea di ciclicità del tempo e dell’avvicendarsi degli eventi. Ma se le due artiste, nel proporre l’installazione, tengono conto di questa caratteristica dell’animale e della sua facilità a riprodursi – i gasteropodi delle specie scelte infatti possono deporre da quaranta a ottanta uova ciascuno – e quindi lavorando in previsione di una effettiva “invasione” di spazioSERRA da parte delle lumache, in realtà concentrano la loro attenzione sull’aspetto distruttivo del loro atto di nutrirsi e riprodursi, riconducendo così il pensiero a qualcosa di egoisticamente più umano, quale la nostalgia. La cancellazione dell’immagine stampata che gli animali divoreranno perché attratti dalla cellulosa e dalla grafite, così come la distruzione dei manufatti scultorei, sono il fulcro dell’operazione portata avanti da Gurgone e Di Franco che hanno lungamente documentato, in fase di creazione, la testimonianza del passaggio distruttivo e quindi della caducità delle opere realizzate. In un certo senso, anche, della loro inutilità di oggetti artistici, inessenziali per l’essere umano e, invece, vitali per l’animale. Il fatto stesso che queste opere riproducano oggetti d’affezione (come potrebbe essere un bambolotto, appunto, o una fotografia scattata a Istanbul e, anacronisticamente, stampata) conferma questo punto di vista antropocentrico. La documentazione inoltre procederà anche all’interno dello spazio vetrato per tutto il periodo della mostra, in modo che la mutazione dello stato attuale dell’isola possa essere monitorata in tempo reale.
Uncertainty excites me racconta tutto questo nello spazio limitato di una “serra” di vetro nel sottoterra milanese. Un sottoterra che ha la stessa importanza del sopra in questa città che vive e si muove velocemente, tendendo a produrre e consumare oggetti di culto, linguaggi fugaci, di breve durata, efficaci per il tempo di utilizzo, presto sostituiti da altri linguaggi, che rispondano a nuove esigenze. Questa installazione, nata dall’osservazione, vuole ricondurre a essa, collocandosi in un luogo di passaggio che può diventare punto d’osservazione privilegiato su un microscopico riflesso della vita esterna, fuori dalla teca.
testo critico di Silvia Maiuri